Egregio direttore, le scrivo in merito all’articolo “Marta, corsetto e medaglie”, apparso su Corriere Salute del 28 novembre u.s.
Leggere ancora che il corsetto fa bene, mi ha mosso dentro tanta rabbia e fatta sussultare di indignazione. Mi chiedo come si possa ancora prescrivere corsetti, quando ormai è chiaro che non curano ma danno solo una parvenza di schiena dritta fintanto che le radiografie vengono fatte indossando il busto. Da bambina, avevo 8 anni, sono stata
imprigionata prima per 3 anni in busti di gesso che mi impalavano dall’inguine fino al mento e poi fino ai 16 anni ho portato il Milwaukee giorno e notte. Il risultato di questi anni che mi sono stati rubati, non è stato la ‘guarigione ‘ dalla scoliosi, ma una sofferenza interiore profonda, accompagnata dalla certezza di non andare bene così come ero, con la conseguente necessità di avere avuto sempre il bisogno di adeguarmi. Passare otto anni, quelli dalla formazione, imprigionata dentro ad un busto che ti permette di guardare solo in avanti e ad un’altezza dalla quale sono esclusi i coetanei, crea danni irreparabili.
Ancora oggi, a distanza di più di 40 anni dal primo busto in gesso, spesso riaffiorano in me memorie corporee che mi fanno provare una compassione infinita per la bambina che sono stata. Una bambina che, per poter continuare ad avere l’approvazione esterna e sentirsi amata, doveva non sentire il dolore continuo che quella prigione che costringeva il suo corpo in uno spazio totalmente rigido e duro, senza la libertà di movimento di
nemmeno un centimetro, le procurava.
Sentirsi amato è una condizione di vitale importanza per un bambino. Di altrettanto vitale importanza è il movimento, ciò che è rigido e bloccato in natura è morto. Per un bambino sentirsi libero è condizione essenziale di sviluppo, condizione imprescindibile per potere provare gioia, la gioia è data dal movimento. In un corpo bloccato ed imprigionato senza possibilità alcuna di movimento non può esserci libero fluire delle emozioni, dei sentimenti.
Ormai in età adulta e già mamma di due figli, ho incontrato la dottoressa Laura Bertele’.
Per la prima volta una dottoressa non vedeva solo la mia schiena come un pezzo anatomico da correggere, ma vedeva, incontrava e riconosceva me in tutta la mia complessità e ricchezza umana. Questo incontro è stato per me una scintilla vivificatrice.
Ho intrapreso un percorso di rieducazione posturale secondo il metodo Bertele’ Mézières.
Ho così potuto riprendere man mano con enorme stupore e gratitudine tutte le mie parti che erano imbrigliate e sotterrate dentro di me. Si, perché fino a quel momento, anche se non portavo più il busto da anni, era come se ancora lo portassi, continuando a mantenere congelati in me insieme alla violenza cui era stata sottoposta x anni, tutta la mia vera essenza.
Man mano che i miei muscoli si allentavano sotto le mani sapienti e amorevoli dei terapisti, percepivo che avevo potuto sopravvivere solo perché, in qualche modo mi ero allontanata da me. Come avrei potuto altrimenti continuare a vivere? Dentro ad una prigione rigida che mi creava piaghe ovunque, non mi potevo ascoltare, non potevo nemmeno sentire il dolore. Se avessi potuto ascoltarmi avrei dovuto piangere, urlare di dolore di giorno e di
notte. Realizzavo che era come se avessi vissuto ad un centimetro dal mio corpo fino a quel momento, cercando all’esterno modelli quasi irraggiungibili da seguire, mettendomi continuamente alla prova.
Ora posso dire di essere guarita dalla scoliosi, soprattutto dalla mia scoliosi interiore che mi faceva sentire di non andare bene così com’ero. Quella scoliosi interiore che i busti hanno stigmatizzato in me x anni portandomi a vivere di conseguenza, come una persona cui era stato negato in maniera violenta la possibilità di ascoltarsi, di sentire, di crescere in maniera armonica e gioiosa.
Afra Slanzi