Egregio direttore Luciano Fontana,
la lettura dell’articolo, uscito su corriere salute di giovedì 28/11, “Marta corsetto e medaglie”, ha suscitato dentro di me un profondo no, no al busto, no alla rigidità che questo provoca, no alla subdola depersonalizzazione che questo induce.
Sono una donna di 41 anni, imbustata per più di 15 anni.
A sei anni i miei genitori entrambi medici, scoprirono la mia scoliosi è da lì iniziò un percorso di visite, lastre, busti e gessi. Il Milwaukee divenne il mio compagno, dapprima solo di notte poi anche di giorno. Da bambina vivace, solare e anche un po’ ribelle iniziai a chiudermi, ad amalgamarmi al volere altrui, ad essere dritta come la società ci impone di essere.
Il busto raffreddò e negli anni congelò il mio corpo. Emozioni e sentimenti divennero solo pensate e non sentite.
Facevo sport: nuoto sincronizzato a livello agonistico, toglievo il busto in piano vasca e lo rimettevo appena finivo l’allenamento. Fui chiamata in nazionale ma uscì dalla rosa perché quell’anno, l’anno dello sviluppo, dovetti mettere il gesso. Non riuscii più a essere convocata in nazionale, il gesso e il busto mi fece perdere l’armonia, la scioglievolezza, l’elasticità nella schiena. Inoltre la forza dei miei muscoli sottoposti a duro rafforzamento muscolare mi schiacciavano la schiena e facevano peggiorare la mia scoliosi. Lo sport agonistico era una doppia faccia: nemico della mia schiena e contemporaneamente rappresentava l’unico momento in cui mi sentivo libera da vincoli.
Compii 17 anni tolsi il busto e nonostante i miei 40 gradi ero “dritta”. Il busto era comunque in me, mi muovevo in modo rigido come se avessi un palo nella schiena.
Stavo apparentemente bene: avevo un ragazzo, degli amici, ero iscritta a medicina al San Raffaele. Ma tutto ciò che il corpo si era negato di sentire voleva uscire, cercai di reprimerlo, non sapevo cosa volesse dire avere un corpo: negai il corpo, mi ammalai di anoressia prima e bulimia poi. Arrivai a pesare 28 kg per 166 cm. Mangiavo e vomitavo, mentivo, mi tagliai più volte. Dopo sei anni di varie cure entrai in comunità e tramite un percorso riscoprii il corpo. Parallelamente iniziai a sentire dolori alla schiena. Mi sottoposi a sedute di rieducazione posturale seguendo il metodo Bertelè-Mezieres. In ogni seduta sentivo i miei muscoli allentarsi, la mia colonna respirava, la detensione muscolare permetteva alla mia colonna di srotolarsi, di piegarsi e muoversi più armoniosamente.
Ho riscoperto la vita nel corpo e nello spirito.
Ora sono da più di 10 anni terapista Bertelè. Vedo splendide ragazze e ragazzi radiologicamente non dritte ma vive, armoniche e soprattutto libere dal dolore e dalla rigidità. Per questo il mio NO al busto!