Combattendo la mia naturale introversione voglio rispondere a questa domanda con una sorta di lettera in cui condividere con te la mia esperienza di vita degli ultimi anni.

La mia scelta di diventare fisioterapista è stata difficile, combattuta e piena di difficoltà. Negli anni dell’università, che ho vissuto come se fossi un naufrago attaccato a una zattera, con la stessa angoscia e la stessa certezza di non avere via d’uscita, credo di non avere mai amato quello che stavo facendo. Lo temevo, non me ne sentivo all’altezza, a volte ho pensato che sarebbe stato meglio abbandonarlo. Amavo le persone che incontravo sul mio cammino ma che non avevo la consapevolezza né la capacità di poter amare. E il modo che mi veniva indicato per aiutarle non era il mio, mi faceva sentire ancora più fuori luogo, ancora di più ai margini. Mi sono laureata con enorme fatica, con soddisfazione per aver raggiunto un traguardo ma con l’amarezza un retrogusto che mi rendeva cosciente di essere su una strada che non sentivo mia. Il clima giudicante e incentrato sulla prestazione che mi circondava mi ha trasmesso ancora di più un senso di incertezza e di incapacità.

Ho provato molte cose, spesso contrastanti tra loro e spesso non piacevoli, ma quello che di certo non ho mai provato è il piacere di fare il mio lavoro. Quando ho conosciuto Eleonora (Negretto) mi ero rassegnata a un lavoro che non era il mio e che continuava a restare interessante e arricchente per il rapporto di cura che il posto in cui lavoravo mi permetteva di instaurare con i miei pazienti. Come fisioterapista mi sentivo “fuori dal coro”, inadeguata e inutile.

Ho deciso di mettermi in gioco perché Eleonora mi ha persuasa, mi fido di lei e forse, inconsciamente, volevo provare a dare a me stessa un’ultima occasione.

Sono arrivata guardinga, con poca fiducia, soprattutto nei confronti di me stessa. Nelle aspettative ho scritto che speravo di trovare entusiasmo e un senso a ciò che facevo, ma senza credere davvero che sarebbe successo.

E invece. Come al solito il mio ambire alla perfezione, il mio non voler fare nulla prima di essere sicura al 100% di aver capito esattamente cosa fare, il mio eccessivo senso critico e la mia sfiducia nel mio sentire, mitigati ma non certo risolti, mi hanno impedito di capire se io ce la possa fare. Ogni giorno una voce dentro di me mi ricorda che non è possibile che io ce la faccia.

Però accanto a questa paura è nata una volontà, prima timida e via via sempre più tenace, di imparare e riuscire a esserci e a fare come vedevo i terapisti esserci e fare. È nato lo svegliarmi la mattina con la voglia di fare proprio quello che ogni giorno stavo facendo. È nata la bellezza del tocco, del sentire e del vedere e anche del cercare di farlo. Io non so se sarò mai in grado di fare questo lavoro come vorrei, ma a prescindere dal risultato so che voglio provarci e che mi piacerà farlo come mi sta piacendo ora.

So che mi sentirò più dentro me stessa e che avrò ogni giorno quel piacere, quell’entusiasmo e quel senso profondo delle mete difficili da raggiungere, ma che sono quelle che ti danno la forza per intraprendere il cammino per cercare di arrivarci.

Ci tenevo a condividere con te questo mio sentire soprattutto per ringraziarti per aver risposto alla mia disposizione ad esserci e a ricevere una mia disponibilità a dare e a donarmi sguardo e occhi nuovi.

Grazie mille per aver condiviso parte del mio percorso, della tua esperienza e del tuo essere.

Grazie mille per essere stata lo strumento che mi ha permesso di contattare e far nascere questa parte di me che non conoscevo.

Con affetto, Valentina